L'idea era buona, anzi: ottima. Dando credito per una volta alle previsioni del tempo che spergiuravano su una giornata calda e soleggiata (dopo tante da dimenticare) avevo pensato di dedicare la prossima escursione alla conquista del Col Becchei, quella montagna dai fianchi metallici che domina il sentiero che dal Pederù sale alla Malga Fanes e appare così imponente se si alza lo sguardo alle sue paurose pareti quando si arriva all'altezza del Lago Piciodel.
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Giuseppe e Francesco al Pederù alla partenza |
I motivi c'erano tutti: innanzitutto finora nessuno di noi è mai salito sul Col Becchei (anche se si tratta di una montagna di quasi 2800 metri) e poi, almeno da un esame della cartina, la scalata non sembra essere così proibitiva tanto che potrebbe essere affrontata anche da alcuni dei nostri (me compreso) "meno giovani". Tutto pronto dunque; la sera precedente (il 26) organizziamo la spedizione. Partenza ore 8,30; mogli a casa; tramite il Passo Furcia arriviamo al Pederù verso le 9 e 40; prendiamo una jeep che ci porta al Rifugio Fanes e da lì, in circa 3 ore e mezzo (si tratta di un dislivello di circa 700 metri) arriviamo in cima al Col Becchei. Tutto bene? Approvato. Partecipanti oltre a me, il solito Giuseppe e Francesco.
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L'avviso che annuncia la sospensione del servizio Jeep. |
Fino a Pederù il programma non fa una grinza ma lì ci accoglie la prima amara sorpresa (sorpresa decisiva): il servizio jeep è sospeso. Ma come? Ci informiamo: niente da fare. Niente Col Becchei quindi; impossibile per noi affrontare un dislivello di 1300 metri.
Come alternativa decidiamo di andare al Rifugio Fanes. Ci incamminiamo per un sentiero affollato come un corso cittadino la sera del sabato. Saliamo senza sforzo fino a quota 1700 metri, dove la carrareccia diviene quasi pianeggiante.
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Il tronco scolpito che segnala l'inizio della traccia |
Ad un tratto mi ricordo di aver visto qualche anno prima (diciamo 15 anni?) alcuni escursionisti che venivano giù da quei monti alla nostra sinistra. Mi dissero che venivano da Fodara Vedla e ricordo che ne rimasi stupito perché non mi risultavano sentieri o tracce che da quel rifugio tagliassero direttamente in direzione Lago Piciodel. La mia idea è subito: cerchiamo di recuperare la giornata: troviamo il sentiero e saliamo a Fodara Vedla. Gli altri sono d'accordo e così, continuando a camminare verso la Malga Fanes, scrutiamo le macchie verso sinistra.
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Sulla traccia che sale su per la pietraia. La freccia indica Francesco che inizia a salire |
Ad un certo punto vediamo una traccia che sale verso sinistra lungo il fianco del monte: non si vede dove porta ma potrebbe essere quella del fantomatico passaggio (penso). Io e Giuseppe la affrontiamo subito mentre Francesco ci segue di malavoglia. (La traccia parte da sinistra ed il suo imbocco è segnalato da uno strano tronco scolpito). La traccia attraversa una pietraia gigantesca e dopo poco diviene abbastanza esposta. Ci alziamo di quota fino alla fine della pietraia, dove si incontrano i primi mughi. Si intravede, vecchissimo, un segno bianco-rosso, assai scolorito.
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Giuseppe ridiscende per l'esposta traccia |
Ci siamo alzati di un 250 metri (siamo all'altezza del Rifugio Fanes che si intravede in lontananza); si domina la vallata dove transita la carrareccia; crediamo di essere sul sentiero che cerchiamo. Ancora qualche passo e poi, con stupore, ci accorgiamo che una frana ha portato via un largo tratto di sentiero. Dall'altra parte dell'enorme solco si vede una traccia esile e parecchio esposta che sale verso un vetustissimo ometto di sassi... Non si può proseguire. Non si potrebbe, non si dovrebbe, proseguire.
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Francesco e me sopra la Val di Fanes |
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Io sulla traccia a quota 2000. Sotto di me la carrareccia per il Rifugio Fanes e, più lontano, il Lago Piciodel. |
Ma Giuseppe decide (nonostante le nostre implorazioni) di andare a dare un'occhiata. Così traversata la sommità della frana inizia a salire su per quella ripida traccia larga non più di una suola di scarpa ed esposta su un burrone di 300 metri. I Santi aiutano gli audaci (pare) e così, mentre io e Francesco, dopo aver tentato invano di dissuadere Giuseppe, non abbiamo nemmeno il coraggio di guardare, quello, un passo dopo l'altro, riesce a raggiungere l'ometto di sassi e a sparire al di là della roccia. Mentre lo aspettiamo (speriamo che torni!), noi scattiamo foto su foto al crudo ma fiero panorama sottostante. Dopo un poco torna Giuseppe che ci annuncia l'impossibilità a proseguire. Sembra che non si possa passare a meno di arrampicarsi e senza sapere cosa si troverebbe dall'altra parte. Torniamo indietro, quindi.
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Un bellissimo scorcio del Lago Piciodel |
All'altezza del lago Piciodel decidiamo fare una sosta per mangiare e poi di esplorarlo.
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Giuseppe sul lago Piciodel |
La sponda sinistra del lago è stupenda: fiori di ogni specie, un'acqua verde e trasparente e una atmosfera fuori dal tempo. Ci fermiamo presso un masso per mangiare e poi esploriamo gli angoli più caratteristici del Lago. Il Piciodel ha una particolarità: ha un immissario (un torrente che scende dai pressi del Rifugio Lavarella) ma non un emissario: l'acqua finisce lì. Sopra di lui la mole metallica (sembra di piombo) del versante nord del Col Becchei solcata a sinistra da un ripido sentiero che porterebbe alla Forcella Ciamin e quindi all'inaccessibile (o quasi) Val de Mez. Noi dopo esser giunti fin sotto l'ultima salita che porta al Rifugio decidiamo di tornare.
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Io, Giuseppe e Francesco |
Sono le 16 e 30, non abbiamo raggiunto nessuna meta importante e nemmeno una di quelle via via prefissate, ma ci siamo divertiti, abbiamo visto posti nuovi e vissuto altre emozioni. Inoltre ho scattato bellissime foto: cosa desiderare di più?
...vedo che Giuseppe è sempre lo stesso temerario!!!