BIVACCO GERA e FERRATA MAZZETTA (alt. Max. 2413 m.)
Il sottogruppo del Popera è il più vasto, il meno esplorato e il più selvaggio delle Dolomiti di Sesto. La sua particolare riservatezza risiede nel fatto che nel suo territorio non si trovano strutture artificiali (funivie, seggiovie..) che possano attirare le torme di escursionisti improvvisati interessati principalmente ad arrivare presto e con poca fatica nei pressi di un bel “luogo panoramico”, fare venti fotografie e poi abbuffarsi, all’ombra e con tutti i confort forniti da un rifugio o comunque da una struttura similare, di canederli e polenta ai funghi.
L’unico rifugio presente nel sottogruppo è infatti il Rifugio Berti (1950 m.); una struttura deliziosamente alpinistica alla quale comunque non è agevole giungere se non da una parte e cioè arrivando dal Rifugio Lunelli (al quale si può arrivare in auto); per il resto, la possibilità di pernottamento e di riparo è data solamente da 3 bivacchi dei quali almeno 2 possono essere raggiunti solo con notevole esperienza alpinistica e allenamento psicofisico.
I tre bivacchi sono: il Piovan, il Gera e il Battaglion Cadore; di questi solo il primo è, per così dire, a portata di mano, richiedendo solo un’ascensione di poco più di un’ora provenendo dal Rifugio Lunelli. Gli altri due sono raggiungibili con difficoltà superabili solo da escursionisti esperti ed allenati e questo da ogni via d’accesso.
Mentre il Bivacco Battaglion Cadore è un punto fermo da chi voglia compiere la traversata dal rifugio Berti al Rifugio Carducci attraverso la Ferrata Roghel e il sentiero attrezzato della Cengia Gabriella (ma non dimentichiamo che dovrebbe essere uno dei poli dell’affascinante ma fantomatico sentiero che lo congiunge al Bivacco Gera attraverso il Cadin del Biso), il Bivacco Gera, il più meridionale, è ancora più lontano dagli itinerari battuti dagli escursionisti.
Decidemmo di visitare il Bivacco Gera un giorno che, con Giuseppino e Gaetano, pensammo venuto il momento di fare la conoscenza con la Ferrata Mazzetta, l’ultima che ancora ci mancava da percorrere nella nostra zona.
Sapevamo che non si trattava di una via ferrata particolarmente impegnativa ma non sapevamo come programmare l’itinerario; la zona è distante e non riuscivamo ad ipotizzare un percorso circolare che ci permettesse, al termine della nostra escursione di una giornata, di tornare al punto di partenza.
Alla fine decidemmo così: superato il Passo di Monte Croce Comelico saremmo giunti a Padola con due auto, la mia e quella di Gaetano. Lì Gaetano avrebbe posteggiato la sua auto e sarebbe salito sulla mia dove si trovava anche Giuseppino; tutti e tre saremmo quindi andati al Lunelli, dove avrei parcheggiato la mia auto.
Dal Rifugio Lunelli (1568 m.) la salita fino al Bivacco Piovan non è niente di speciale ma c’è da dire che qualche piccolo problemino ce lo pose. La salita su per i tornanti ghiaiosi, posta subito all’inizio del percorso, toglie il respiro fino a che non ci si assuefà alla fatica, ma mi disorientò il sentiero che trovai molto cambiato. Ero già andato al Piovan almeno due altre volte ma questa volta il percorso era diverso; una enorme frana precipitata a valle nell’inverno aveva cancellato il vecchio tracciato e, per raggiungere il bivacco dovemmo fare alcune faticose digressioni, scendere e risalire per alcuni dirupi e comunque perdere del tempo che non avevamo preventivato.
Ora veniva il bello; la parte più avventurosa dell’intera escursione. Dal Piovan (2070 m.) si può arrivare al Bivacco Gera da due vie diverse: una passa ad ovest di Punta Anna e attraverso la Forcella Anna (2570 m.) dà accesso al Cadin d’Ambata dove si trova il bivacco; l’altra si svolge ad est e giunge al Cadin passando dalla Forcella d’Ambata (2413 m.). Avevamo già tentato due anni prima, con Giuseppino e Claudio, di arrivare al Gera per la Forcella Anna (indubbiamente, con l’attrezzatura adatta, la via più facile), ma avevamo dovuto rinunciare per la forte innevazione della salita terminale che porta alla forcella. Eravamo senza ramponi e dovemmo, a malincuore, desistere.
Il percorso per la Forcella d’Ambata però, era una incognita: non avevamo idea di cosa avremmo potuto trovare; anche la “bibbia” del Visentini, al riguardo, fa sorgere diversi dubbi. Fu quindi con una certa preoccupazione, ma speranzosi di riuscire, che, dopo un riposino di qualche minuto lasciammo il Piovan dirigendoci lungo il sentiero che porta a sud (segnato 123).
Il sentiero, nella prima parte, è pressoché pianeggiante, poi, passata la Forcella della Rocca dei Bagni, si dirige verso la prossima forcella (detta della Rocca da Campo). Ecco: quasi a metà del percorso tra le due forcelle occorre scrutare attentamente le rocce di destra cercando di individuare alcuni segni rossi che indicano il punto in cui comincia il percorso verso la Forcella d’Ambata; non vi sono altre segnalazioni. Individuato il segno, mettemmo i caschi e cominciammo ad arrampicare.
La salita è entusiasmante; si sale in verticale, in arrampicata “libera”, avvalendosi degli ottimi appigli che si trovano da ogni parte sulla buona roccia e delle segnalazioni rosse che, ora evidenti, guidano la nostra progressione. Si sale in un ambiente prettamente dolomitico, tra quinte di roccia ed uno strano silenzio tutto intorno. Non c’è panorama intorno a noi, solo il precipizio che porta al sentiero dal quale siamo venuti a dal quale ci innalziamo sempre più: la sensazione è meravigliosa.
Al termine, però, dopo circa quindici minuti di salita, ecco quella che si rivelerà la massima difficoltà dell’intera escursione. Quando già si intravede la forcella e già si pregusta il momento in cui potremo issarci sulla selletta, il percorso si restringe, diventa una specie di stretto canale dove il sole non batte mai e dove la roccia scompare per lasciare il posto ad una specie di ghiaia fine, fradicia e infida. Mancano pochi metri alla mèta ma ora è difficile far presa con gli scarponi e anche gli appigli sembrano precari; ogni cosa che si tocca o sulla quale si appoggia il piede cede, lentamente ma inesorabilmente. Qui emerge il vantaggio di non aver intrapreso il percorso da soli: tre persone sono decisamente meglio di una quando si tratta di superare delle emergenze o delle difficoltà impreviste; comunque io sconsiglio decisamente di affrontare la salita alla Forcella d’Ambata in solitaria.
In tre, quanti eravamo noi, è un’altra cosa: uno, sotto, facendo forza con il piede sulla roccia sana, sostiene il piede di colui che sale dandogli così sia l’appoggio necessario per progredire sia un grande aiuto psicologico. Quello che sale per primo infatti, sa che può tentare di appigliarsi anche a prese all’apparenza poco sicure dato che, in ogni caso, non potrà precipitare. Nell’ esile camino si può però salire poco alla volta contrastando con le spalle contro le strette pareti; alla fine, e con notevole sforzo, il primo che sale può giungere alfine sulla forcella. Ora è facile: si cala un cordino e gli altri che seguono, in quattro e quattr’otto, sono con lui sulla selletta.
Eccoci quindi a metà dell’opera: sotto di noi s’apre il Cadin d’Ambata ed il Bivacco Gera, che spicca, rosso, nel verde del prato sottostante; è laggiù che ci aspetta. Da questa parte ci sono anche delle corde fisse che ci agevolano la discesa (ma sarebbero state utilissime nella parte finale della salita): in quindici minuti siamo al bivacco.
Ora ci possiamo riposare un po’; entriamo nel bivacco (2240 m.) e annotiamo data ed estremi della nostra visita nel libro di bordo, poi è tempo di soffermarsi a godere dell’insolito ambiente e di scattarci foto a vicenda.
Il Cadin d’Ambata è solitario, circondato da alcune delle più selvagge cime di tutte le Dolomiti; sono quelle che costituiscono l’ossatura del sottogruppo del Popera dove una enorme dorsale si estende ad un’altitudine media di quasi 2900 metri e quasi senza possibilità di attraversamenti dal Monte Popera alla Cima di Ligonto; una dorsale altissima con cime importanti e con pochissimi valichi escursionistici. Monte Giralba, Cima Bagni, Croda di Ligonto, Croda di Tacco, Croda da Campo, ecco i nomi delle più importanti cime del sottogruppo. Sono montagne vere, importanti, toste, montagne come se ne possano trovare poche di così selvagge, isolate e sconosciute specialmente nel continente europeo, e noi abbiamo la fortuna di poterle visitare, conoscere ed apprezzare: siamo qui, ora!
Dopo le foto di rito e un meritatissimo panino ecco che ci dirigiamo a sud, in leggera discesa. Dopo pochi minuti si rinvengono le segnalazioni che indicano, a sinistra, il percorso per la Ferrata “Mazzetta”.
La ferrata sale, non eccessivamente esposta, attraversando lo sperone meridionale della Croda di Tacco. Le attrezzature sono buone, utili e ben tenute; la salita è piacevole e, a tratti, entusiasmante. Penso che pochi escursionisti vengano da queste parti, poco invogliati dalla lontananza delle via di accesso e dalla eccessiva solitudine dei luoghi; a mio avviso invece questi sono motivi in più per venire a visitare una delle parti meno conosciute delle Dolomiti di Sesto.
Alla fine della ferrata: ciliegina sulla torta! Le attrezzature terminano proprio sotto una specie di parapetto in roccia; la Forcella di Tacco (2347 m.). Ci si affaccia a quel davanzale naturale e si resta senza fiato: un panorama meraviglioso si stende davanti ai nostri occhi! In una giornata dove lo sguardo quasi mai ha potuto godere di grandi vedute ecco che l’intera Val Comelico ci si stende davanti fino al Cadore con i suoi paesini di Padola e Candide e le montagne delle Alpi Carniche che dominano tutta la sua sponda orientale. Osserviamo il Monte Cavallino, il Monte Arnese e tutte le cime che costituiscono la frontiera con l’Austria.
Lo spettacolo invita alla contemplazione e per dieci minuti ci soffermiamo ad osservare dall’alto, da una postazione insospettabile e privilegiata, uno dei più bei panorami delle Alpi Orientali.
Poi, è tempo di proseguire il cammino. Ci caliamo, uno dopo l’altro, giù per le corde metalliche della ferrata (che prosegue al di là della forcella) poi proseguiamo per la traccia che porta a valle fin che non incrociamo il sentiero 153, che superiamo. Proseguiamo per il 152 che porta alla Casera Aiarnola; da qui (occhio a non sbagliare strada: occorre prendere la traccia di sinistra), un sentiero scende velocemente a Padola dove ci aspetta l’auto di Gaetano; tutti a bordo fino al Rifugio Lunelli a prendere l’altra auto (la mia) e poi, a casa! L’appagante escursione (è durata una intera giornata con un dislivello di circa 1100 metri) è finita.
Fotografie: (Accanto al titolo foto ricordo davanti al Bivacco Gera)
Salita dal Lunelli al Bivacco Piovan
Arrampicata verso la Forcella d'Ambata
Io e Giuseppe sulla Forcella d'Ambata
Veduta del bivacco e della Cima di Ambata
Discesa dalla forcella di Tacco verso la Val Comelico
La ferrata Mazzetta si trova nelle Dolomiti del Comelico!!visto che siamo in veneto...zona molto conosciuta per le sue ferrate Zandonella,Roghel cengia Gabriella strada degli alpini,D'Ambros,Mazzetta..