Eravamo nel Luglio del 2009 e già 25 anni erano passati dalla nascita del Gruppo Hirben (e gli anni si fanno sentire, alla lunga…). Le escursioni più complicate e le ferrate più difficili della nostra zona le avevamo già compiute quasi tutte (esclusa solo la famigerata ferrata “De Pol”, nel Gruppo del Cristallo di cui parlerò in seguito in questo blog) e, Giuseppino ed io, dovevamo trovare per forza qualcosa di insolito se volevamo fare qualcosa di nuovo.
La scelta cadde sulla famosa Forcella dei Sassi, l’alto valico che permette il passaggio tra la Val Campodidentro e la Val Fiscalina, una traversata difficile e lunghissima che il Visentini considera “una delle più belle traversate di tutte le Dolomiti”. (Luca Visentini: DOLOMITI DI SESTO). La nostra intenzione però non era quella di effettuare “tutta” la traversata anche perché la discesa dalla forcella dei Sassi all’Hotel Dolomiten in Val Fiscalina, è, a detta di tutti, difficile e assai pericolosa; a noi sarebbe bastato (si fa per dire) salire fino alla forcella per poter dare un’occhiata dall’altra parte: ci saremmo accontentati così, noi.
Quando la meta prefissata non è una cima, una croce di vetta o comunque un obiettivo certo, visibile e rinomato, qualunque conquista sembra banale, semplice e poco importante; è il caso di una forcella, una semplice depressione tra due montagne, a volte anche difficile ad individuare tra la selva di rocce, cime e guglie che contraddistinguono il colossale frastagliato panorama dolomitico.
Beh, tranquilli, la Forcella dei Sassi non è un obiettivo banale.
Innanzitutto per la sua altitudine (quasi 2700 metri), che richiede comunque il superamento di un dislivello di quasi 1200 metri, e soprattutto per la sua prestigiosa posizione che è, nello stesso tempo, nobile e misteriosa dato che divide la Punta dei Tre Scarperi (uno dei più mitici Tremila dolomitici), dalle Cime di Sesto che sovrastano la cittadina nella valle omonima. La forcella è un punto panoramico fantastico sia sul Gruppo dei Tre Scarperi, che sulla Croda Rossa di Sesto, Cima Undici e tutte le montagne a nord delle Tre Cime di Lavaredo.
Partimmo dal solito parcheggio, quello che si trova poco prima della sbarra che impedisce l’accesso, a chi provenga in auto da Sesto, all’ultima parte della Val Campodidentro. Superata la sbarra conviene traversare il breve tratto di bosco seguendo il sentierino che fa da scorciatoia per il Rifugio dei Tre Scarperi. Dopo solo pochi minuti, quando si sbuca sulla stradina asfaltata che va al rifugio, bisognerebbe subito traversarla e salire puntando direttamente alla Lavina dei Scarperi sicuri che, dopo poco più di mezz’ora di salita, si incrocerà il sentierino che porta, a sinistra, alla Forcella dei Sassi. Invece: sorpresa! Una frana enorme, caduta a valle due anni fa, ha tolto ogni riferimento. Nessuna traccia, ed i mughi che sono cresciuti nel frattempo hanno cancellato qualunque segno. Decidemmo di continuare sulla strada per il rifugio, osservando bene a sinistra alla ricerca di un varco che ci permettesse di cominciare la salita con qualche possibilità di successo. Niente da fare. Giunti quasi al punto in cui la stradina diventa a sterro i mughi sulla sinistra cessano per far largo ad un enorme fronte pietroso. Sono i resti di una enorme frana caduta dalla Lavina dei Scarperi che ha spazzato via ogni segno di sentiero, ogni traccia. Fu da quel punto che cominciammo a salire su per il ghiaione, io davanti, Giuseppino dietro, ognuno cercando un varco nei mughi che delimitavano la colata pietrosa sulla sinistra ma con poche speranze di trovare qualcosa. Poi, dopo circa un’ora dall’inizio dell’escursione, quando tra mille difficoltà dovute al terreno accidentatissimo ero salito di circa duecento metri, ecco che una interruzione nel fronte dei mughi alla mia sinistra, mi fece capire che avevo rinvenuto la traccia. Chiamai Giuseppino e ci incamminammo per quella parvenza di sentiero. La traccia corre longitudinalmente verso nord-est avvicinandosi sempre più all’ultimo sperone (di color giallo) che scende dalla sovrastante Punta dei Tre Scarperi. Segni rossi, un ometto di sassi… siamo sulla strada giusta (pensai). Il problema nacque però quando, dopo aver seguito la traccia fin sotto una parete rocciosa che sovrastava un torrente che scendeva impetuoso dalla Punta dei Tre Scarperi, dovetti constatare che anche in quel punto il sentiero era franato, anzi, era letteralmente scomparso. Bisognava però salire sull’altra riva del torrente se volevamo continuare la nostra escursione e per farlo dovevamo scendere per una decina di metri, traversare il torrente e, cosa assai più difficile, salire dall’altra parte. Giuseppino scese solo per constatare che non era possibile salire; nessun appiglio, terreno franoso… niente da fare. Pensammo di scendere verso valle seguendo il corso del torrente per cercare un punto più facile per l’attraversamento e, così facendo, fummo fortunati. Dopo un centinaio di metri in discesa ecco che le sponde del torrente divengono meno ripide e, ad un certo punto, è possibile passare dall’altra parte. Bisogna fare attenzione perché i mughi, subito a ridosso dell’argine franoso del torrente, lasciano uno spazio esiguo, ma comunque riuscimmo a risalire la sponda destra del corso d’acqua fino a tornare davanti, ma dall’altra parte, al punto in cui eravamo arrivati. Ora i segni rossi tornano, e non cesseranno più per un bel pezzo. Ci si inoltra tra i mughi e gli alberi e si sale ripidamente stando bene attenti a non sbagliare direzione. Dopo un’ora di salita si sbuca finalmente nei pressi di un enorme masso che si aggira sulla destra. E’ quello il punto in cui la vegetazione finisce e si sbuca nel Cadin dei Sassi.
Il Cadin dei Sassi è un ambiente incredibile. Si tratta di una distesa enorme di sassi, pietre e ghiaie di ogni forma e dimensione che scendono dalla Forcella dei Sassi e dividono la Punta dei Tre Scarperi dalle Cime di Sesto. E’ come un deserto, non vi sono punti di riferimento se non la forcella che si apre lassù, in alto. Bisogna progredire a caso (i segni e gli ometti, dapprima radi, a poco a poco, spariscono) contro un vento fastidiosissimo che toglie il respiro. Erano più delle una e ci fermammo a rifocillarci; quando ci rialzammo erano le due del pomeriggio; a malincuore decidemmo di farla finita lì. Eravamo stanchi ed avevamo perso troppo tempo a cercar sentieri e varchi di passaggio. Eravamo circa a quota 2300 e mancavano almeno altri 350 metri da salire per la forcella. La forcella la vedemmo solo da lontano. Dopo qualche foto, in quell’ambiente solitario e indefinibilmente pericoloso, tornammo indietro. Mi sono ripromesso di tornare alla Forcella in un’altra occasione; ora che conosco la strada sono certo di poter riuscire a raggiungerla. Giuseppino, c’è da scommetterci, sarà con me.
Nelle foto:
1 Io davanti alla Rocca dei Baranci nel punto in cui il sentiero sbuca nel Cadin dei Sassi.
2 Dietro di me, lontana, la Forcella dei Sassi nel punto massimo al quale arrivammo.
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