La Rocca dei Baranci (Haunold) è la più alta cima del Sottogruppo dolomitico dei Rondoi-Baranci.
Nonostante sfiori i 3000 metri (2766 m.) la sua vetta, dalla quale si domina San Candido, non è chiaramente riconoscibile dal basso, nascosta e dissimulata come è tra una selva di guglie, cimette ed anticime che sembrano volerla celare ad uno sguardo approssimativo. Può essere utile al riconoscimento la grande croce metallica che, piantata tra due esili massi di roccia, tolgono ogni dubbio al proposito indicando quella che, sola, è degna di essere chiamata la Regina delle montagne di San Candido.
Invece, durante la salita che porta dal parcheggio alla Val Campodidentro, punto di partenza per la nostra escursione, la Rocca dei Baranci è invisibile, nascosta non solo dal fatto che sorge in una posizione arretrata rispetto alla strada, ma anche perché ogni sguardo è come monopolizzato dalla maestà dalle stupende cime del gruppo dei Tre Scarperi che svettano, selvagge, a Est.
Occorre subito dire che la salita alla cima della Rocca è difficile, lunga e faticosa (quasi 1500 metri di dislivello dal parcheggio!). E’ anche un’escursione dolomitica che, benché riservata alle persone allenate, motivate ed esperte, potrebbe essere definita poco stimolante perché si tratta di salire sempre, senza alcuna possibilità di riposare il piede e la mente, il primo occupato continuamente a non perdere l’appoggio sulle ghiaie friabilissime e la seconda a cercar di orientarsi in un territorio brullo e selvaggio dove le indicazioni sono rare o fuorvianti.
Ricordo che effettuai questa escursione, per la quale occorsero quattro ore e mezzo per la salita, con Giuseppe, il mio compagno d’avventura. Era una magnifica giornata di Luglio del 2001; partimmo dal parcheggio in Val Campodidentro e tornammo per lo stesso itinerario della salita: nessuna scorciatoia possibile, nessuna possibilità di deviazione per questa ascensione che merita descrivere.
Lasciata l’auto al parcheggio si giunge in breve all’imbocco della magnifica Val Campodidentro; subito, di là da un ponticello, s’alza sulla sinistra il ripido sentiero per la Rocca dei Baranci. Si sale a zig zag e in breve ci si alza sulla valle sottostante. Dopo un’ora di salita, segnalata più che dalle rare segnalazioni rosse, dalla strana presenza di un albero martoriato da un fulmine, occorre deviare sulla destra, per un po’ in piano, fino a giungere sulla sponda sinistra del letto di un torrente in secca che scende dall’invisibile (ancora) Val Carbone. Prima di intraprendere la salita di questo tratto merita soffermarsi un minuto ad osservare, magnifico ed in piena vista, il gruppo dei Tre Scarperi, che sorge davanti a noi, dall’altro lato della valle. Da qui, oltre le tre stupende vette (tutte oltre i tremila) che compongono al gruppo, si ha una veduta assai dettagliata sia della lavina di Scarperi, che sale al Cadin della Caccia, che del Cadin dei Sassi e del sentiero che porta alla forcella omonima: due escursioni insolite ma bellissime che mi sento di consigliare a tutti gli amanti della montagna selvaggia e poco conosciuta.
Risalito il letto del fiume si sbocca alla fine sull’orlo della cosiddetta Val Carbone. Siamo sui 2000 metri; i mughi lasciano il posto ai sassi e alle rocce. Ci si inoltra nella valle (all’inizio poco ripida) e perdiamo di vista la Val Campodidentro: non la rivedremo più fino al ritorno.
La Val Carbone è impressionante. Si tratta di una larghissima colata detritica ch si alza, sempre più ripida, davanti a noi e che nell’ultimo, lontanissimo tratto, sembra puntare verso un’insellatura tra due cime altissime; sono le cime delle Portelle della Rocca, da non confondersi con la cima principale della Rocca dei Baranci che da qui, è ancora invisibile, nascosta dalle alte quinte di roccia che si alzano sulla nostra destra.
Non ci resta che salire. Prima abbastanza agevolmente, poi, con sempre più fatica, mano a mano che la salita si fa più ripida e progredire diventa sempre più difficile.
Si sale, ansimando, puntando ad un enorme masso che si erge sulla destra, verso quota 2650. E’ faticoso non solo avanzare, ma addirittura fermarsi. Quasi non c’è spazio per poggiare i piedi, tanto il terreno è ripido e cedevole; ricordo che, per poter fermarci solo una decina di minuti, per bere un sorso d’acqua dalla borraccia e mangiare un panino, dovemmo restare in piedi, lo zaino in equilibrio instabile tra le gambe poiché non c’era nemmeno lo spazio per poterci sedere. Giunti al masso, si contorna in alto verso destra e finalmente, guardando a nord (e cioè a destra rispetto al cammino fino a qui percorso) si intravede, alta, lontana, luccicante al sole, la croce di vetta. Ricordo che dovemmo richiamare un solitario escursionista che allontanandosi dalla giusta via, stava dirigendosi, equivocando, verso le inaccessibili Portelle della Rocca. L’uomo finalmente capì, e si accinse a seguirci.
Ora le forze ritornano benché il sentiero si faccia ancora più ripido. Lasciamo qui, accanto al masso, le racchette che, utilissime per la salita che abbiamo compiuto fino a qui come quasi indispensabili si riveleranno per la discesa, da ora in poi, si rivelerebbero oltre che inutili, di impaccio. Le ghiaie cedevoli sono finite; ci si può appigliare a solida roccia e, con le forze che ritornano stimolate dal vicino traguardo ci possiamo impegnare in una stupenda cavalcata in arrampicata libera. Si sale, si sale, afferrandosi con le mani e spingendo con i piedi, puntando alla croce, sempre più grande, sempre più vicina. Alla fine, ci siamo! Un ultimo sforzo e si giunge ad una stretta forcellina che separa due piccole ante di roccia. Qui in mezzo, ancorata ad una robusta staffa d’acciaio, sorge la croce di vetta. Qui ci fermiamo, ci diamo il cinque; lasciamo cadere a terra gli zaini. Possiamo sorridere: ce l’abbiamo fatta. Dopo qualche minuto, ansimando, sudato, ma felice, ci raggiunge ringraziandoci il solitario escursionista che avevamo rimesso sulla retta via.
Guardiamo l’ora: partiti alle 9 ecco che sono ora quasi le 14; oltre quattro ore e mezzo di salita! Ci rilassiamo un poco, ci rifocilliamo comodamente e poi, ci si può soffermare ad osservare lo stupendo spettacolo che ci si apre davanti agli occhi. Sotto di noi, in fondo al versante nord appena scoperto, giace l’abitato di San Candido e in alto, di là dalla Costa dei Nosellari, si scorgono le Alpi austriache imbiancate. A sud, vicinissima a noi, ecco la cima della Croda dei Baranci, poi la Cima Piatta Alta e le altre cime del gruppo. Solo la Punta dei Tre Scarperi ci impedisce di spaziare lo sguardo ad ovest, ma si possono osservare le Tre Cime e poi i monti di Braies, le Tofane e così via in una fuga emozionante di tutte le maggiori vette dolomitiche. Facciamoci le foto di rito, scambiamoci le nostre entusiastiche emozioni: la stanchezza non c’è più, non c’è mai stata (pare).
Ancora dieci minuti di riposo quassù, in Paradiso. Poi dovremo pensare alla discesa dove, soprattutto, la fatica si farà sentire. Ma ora non ci pensiamo; niente ci impressiona più, niente ci scoraggia. Siamo sulla Rocca dei Baranci, su Haunold, sulla Montagna di San Candido. E questo ci basta. E avanza.
Foto: Sulla vetta della Rocca dei Baranci con l'amico sconosciuto.
Presentazione
Questo blog è dedicato alla stupende montagne dell'Alta Pusteria e dintorni, dove per oltre 25 anni ho percorso i sentieri, le vie ferrate e le Alte Vie delle Dolomiti di Sesto, che costituiscono l'attrazione principale di questa bellissima valle.
E' anche un omaggio dell'Autore agli amici incontrati lassù, un'amicizia dalla quale nacque la mitica "Cordata Hirben" le cui escursioni merita senz'altro di raccontare.
Un altro scopo del blog è quello proporsi come guida escursionistica della zona e di descrivere le curiosità, le manifestazioni e le opere d'arte della Val Pusteria che fanno di questo territorio un piccolo monumento naturalistico e folcloristico (nella migliore delle accezioni) che non cesserò di raccomandare a chi ama la natura, la vita sportiva e la Bellezza in una delle sue forme più elevate.
Roberto Mulinacci
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